Di Tania Salvaderi
In questo articolo la nostra Tania Salvaderi incontra l’equipe del servizio Luoghi neutri de Il Mosaico Servizi per continuare ad esplorare la stanza degli incontri, riportando alcuni episodi che hanno lasciato un segno all’interno delle professioniste che ci lavorano.
Lettura consigliata a: educatori, operatori sociali
Matilda ha 11 anni e incontra da qualche mese, dopo una interruzione di qualche anno, il padre in video chiamata, sempre alla presenza di una educatrice. La video chiamata non viene fatta a casa di Matilda ma in luogo altro, in cui la stessa possa sentirsi libera di esprimersi.
E un giorno succede che…
Alla fine di una videochiamata tra Matilda, 11 anni, e il papà, lui mi chiede informazioni riguardo il tanto da lui atteso incontro in presenza con la figlia, in programma per qualche settimana dopo. Io rispondo, tranquillamente, senza pensare che questa domanda avrebbe creato grandi preoccupazioni in Matilda. La ragazzina, infatti, subito si irrigidisce e mi chiede spiegazioni. Mi guarda preoccupata, sgranando gli occhi. Nella mia testa suona un campanello di allarme. Il papà le chiede insistentemente cosa stia succedendo, ma lei mi sussurra che non vuole parlarne con lui. In me si accende una spia rossa! Cerco di mantenere la calma. Faccio un bel respiro e spiego al papà che la figlia in questo momento non se la sente di parlare con lui dell’incontro, quindi lo salutiamo. Appena chiusa la videochiamata, Matilda scoppia in lacrime. La mia agitazione si trasforma in dispiacere: non mi aspettavo una reazione emotiva così forte! Cerco di mantenere i nervi saldi, mentre Matilda mi ripete che non riesce a capire perché il papà la voglia vedere e che è molto spaventata all’idea di incontrarlo di persona dopo tutti questi anni. Ripete continuamente che, se il papà davvero le volesse bene, non l’avrebbe abbandonata. Tra le lacrime, mi chiede di poter annullare l’incontro, perché proprio non se la sente di incontrare il papà di persona. Sento quindi che ciò di cui Matilda ha bisogno in questo momento è ascolto e comprensione. Le chiedo se posso darle un abbraccio, la ringrazio per essersi confidata con me e la rassicuro, dicendole che parlerò con chi di dovere, per fare in modo che questa sua paura venga ascoltata. Anche a me vengono le lacrime agli occhi, riesco a trattenerle a fatica. Dopo averla riaccompagnato a casa, la mia testa è piena di pensieri, mi sembra che quest’ora sia durata una settimana. Quanti dubbi: avrò fatto la cosa giusta? Sarò riuscita a tranquillizzarla? Riuscirò a far ascoltare la sua voce? Devo parlare subito con la mia coordinatrice!
Emilio ha 4 anni e incontra sia la mamma che il papà alla presenza di una educatrice. Questi incontri avvengono sul territorio, non hanno un luogo predefinito. Oggi lui e il suo papà insieme decidono di andare al parchetto.
E un giorno succede che…
Durante un incontro protetto tra Emilio, 4 anni, e il papà, andiamo insieme al parchetto. Il bambino è sulle spalle del papà, dice che si sente altissimo, e che il mondo è proprio bello da lì sopra. Ridiamo tutti e tre insieme. Ecco un canestro: Emilio chiede al papà di sfidarlo a basket, ripete di voler diventare forte e bravo come lui. Il papà accetta la sfida. Emilio scende dalle spalle del papà, e i due cominciano a rincorrersi, col pallone in mano. Ridono a crepapelle. Il papà, ex giocatore di basket, insegna al piccolo dei trucchetti. Il bambino lo imita, concentratissimo. Il papà gli dice che è veramente forte, che diventerà un campione, deve solo allenarsi un po’. Sorrido. Divento quasi invisibile. Sembra crearsi una grande sintonia, una connessione autentica tra padre e figlio, che guarda il papà con occhi adoranti, come se fosse il suo eroe, il suo idolo. Continuo a sorridere, ma è un sorriso dolce e amaro: provo un po’ di malinconia, osservando questi momenti di apparente quotidianità. Cerco di rimanere ancorata al qui e ora, senza vagare troppo con i pensieri e farmi trasportare dalle emozioni. Emilio mi chiama, mi riporta con i piedi per terra: vuole che tenga i punti della sfida… ovviamente ha vinto lui!
Paolo è un bambino sorridente di 4 anni ed incontra con noi i suoi genitori, insieme. Paolo ama tutto il mondo delle principesse, in particolare non appena entra nella stanza cerca immediatamente il suo libero preferito: la sirenetta. Ogni incontro tra lui e i suoi genitori inizia con questo libro.
E un giorno succede che…
Come sempre Paolo gioca, si diverte, ride, scherza e chiede alla sua mamma di potergli leggere la storia "La Sirenetta". La madre prende il libro posizionato sulla libreria e leggono insieme la storia, ma mentre Paolo è concentrato ad ascoltare la storia della Sirenetta, il suo papà, seduto su una sedia vicino a loro si addormenta, svegliandosi pochi istanti dopo. Paolo allora, che nota che il padre si era addormentato, ricorda di quando era lui a raccontagli la favola della buona notte. Si crea un momento molto emozionante per tutti. Entrambi i genitori hanno le lacrime agli occhi. “Ma allora anche da così piccolo ha dei ricordi”. Rinforzo i genitori e ringrazio Paolo per aver condiviso un ricordo così prezioso. Paolo, sorridendo, si rivolge al padre “papà se sei stanco perché lavori tanto, te la racconto io una storia, almeno fai sogni felici”. Quante cose dobbiamo imparare dai bambini. Grazie Paolo e grazie anche a voi, genitori di Paolo.
Giorgio e Michele, 11 e 14 anni, incontrano il loro papà. Sono sempre stati incontri in cui non si parla di nulla, ci si racconta del qui ed ora, non si affrontano fatiche, desideri, fragilità, dolori e sogni. Sempre e solo nel qui ed ora.
E un giorno succede che…
Era una giornata qualunque, o almeno così sembrava. Una di quelle che scorrono con la solita routine, tra incontri protetti e ambientamenti che ormai fanno parte del mio quotidiano. Nulla lasciava presagire che potesse succedere qualcosa di diverso. Come spesso accade, ero lì, presente, a fare da facilitatrice tra due ragazzi e il loro padre. L’atmosfera all’inizio era calma, controllata, come tante altre volte, ma bastano pochi istanti perché tutto cambi: qualche parola di troppo, qualche tono che si alza, uno sguardo che si accende. Gli animi si infiammano, e io capisco subito che qualcosa sta superando il limite: i ragazzi avevano appena detto al padre che non avrebbero più voluto vederlo. Guardo i due minori e vedo nei loro occhi un turbamento e delle lacrime che scendono veloci sul loro viso. Sono provati, visibilmente scossi. Prendo una decisione: l’incontro finisce qui. Chiamo subito la coordinatrice, la informo della situazione e le chiedo di contattare la comunità per far venire a prendere i ragazzi. È la scelta più responsabile secondo me in quel momento, quella che meglio tutela il loro stato emotivo. Poi, all’improvviso, il citofono rompe il silenzio. Un suono secco. Mi alzo, mi affaccio a vedere chi è. Due uomini in divisa. La polizia. Sento il cuore che comincia a battere all’impazzata, come se volesse uscire dal petto. Per un attimo mi paralizzo, non riesco ad aprire. Il panico mi sfiora, poi mi rivolgo ad un collega e gli chiedo di andare lui. Con calma e professionalità li accoglie, chiedendo il motivo della loro presenza. Nel frattempo io rientro nella saletta con i ragazzi. Il mio istinto mi dice che devo proteggerli anche da questo, da ciò che sta accadendo fuori da quella porta. Cerco di distrarli, di tenerli impegnati, come se nulla stesse succedendo. Ma dentro di me si agita un turbinio di pensieri. Poi bussano. Cercano me. Altro colpo al cuore. Mille domande mi affollano la testa: “Che succede?” “Perché mi cercano?” “Ho fatto qualcosa di sbagliato?”. Esco con passo esitante e mi trovo di fronte agli agenti. Mi chiedono di raccontare l’accaduto. Lo faccio, cercando di restare lucida. Di fronte a me c’è anche il padre dei ragazzi che, con tono agitato, racconta la sua versione dei fatti. Ma niente di quanto accaduto sembrava così grave da giustificare l’intervento della polizia. Nessuna aggressione, nessun pericolo reale dall’interno della stanza, solo una forte tensione emotiva, come purtroppo talvolta accade in questi contesti così delicati. Gli agenti ci ascoltano con attenzione. Fanno qualche domanda. Solo alla coordinatrice del servizio al telefono raccontano che qualcuno li aveva allertati rispetto a possibili violenze che stavano avvenendo all’interno della stanza. La coordinatrice li invita ad uscire dall’edificio. Poi, con un tono rassicurante, ci dicono che la situazione è sotto controllo, che non è necessario il loro intervento e se ne vanno, lasciandoci un senso di sollievo misto a stanchezza. Tiro un respiro profondo. Guardo i ragazzi, ancora lì con me, e penso che nonostante tutto, anche questa giornata sta volgendo al termine. Come stanno i ragazzi? Che idea si sono fatti? Racconto allora che le forze dell’ordine sono state allertate e sono venute a verificare come stessimo, tutti. I ragazzi ringraziano me e loro. Un giorno come tanti, profondamente carico di emozioni, imprevisti, paure… e infine sollievo.
Marco è un bambino di un anno, il mandato è la costruzione della relazione con il padre, che lo ha visto solo alla nascita. Lo conosciamo da un mesetto perché era fondamentale che si ambientasse nella stanza e con l’educatrice. Oggi, quando esce la mamma, appare sereno e si affida alle cure dell’educatrice, proponiamo quindi di calendarizzare il primo incontro con il padre.
E un giorno succede che…
Un bambino, Marco, che avrebbe dovuto incontrare suo padre. Ma per lui quell’uomo era poco più che uno sconosciuto. Lo aveva visto nei suoi primi mesi di vita e poi, per anni, più nulla. Un’assenza lunga, silenziosa, che aveva scavato una distanza difficile da colmare. Io ero pronta. Pronta a tutto. Pronta ad accogliere il suo pianto, la sua diffidenza, la sua paura. Pronta a inventarmi giochi, parole, strategie per sciogliere quella tensione, per conquistare la sua fiducia, per rassicurarlo nel distacco momentaneo dalla madre. Un’ora. Solo un’ora, ma con un carico emotivo immenso. E invece, accade qualcosa che nessuno si aspettava. Marco entra nella stanza, si guarda intorno solo per un istante, poi il suo sguardo si ferma su quell’uomo. Un attimo di silenzio, e poi, come spinto da un impulso più forte della razionalità, corre verso di lui. Un abbraccio. Un abbraccio lungo, istintivo, potente. Di quelli che raccontano più di mille parole. Io e il padre ci guardiamo, increduli. Nei suoi occhi vedo lo stupore, la commozione, forse anche un po’ di paura di rompere quel momento troppo bello per essere vero. Io non oso interrompere quella magia. Rimango in silenzio, spettatrice privilegiata di qualcosa che va oltre il mio ruolo, oltre le mie aspettative. Da lì in poi, l’incontro si trasforma in una piccola festa. Giocano a calcio con un pallone di spugna, si rincorrono, ridono, si abbracciano ancora. E io lì, con il cuore pieno, a osservare ciò che, in fondo, speravo ma non osavo immaginare. Era la realtà? Come sarebbero proseguiti questi incontri?
Giulia ha 12 anni, vive con il padre e incontra la madre una volta al mese. Giulia è una bambina molto curiosa, intraprendente, usa un linguaggio forbito e profondo. Appare più matura della sua età. Saluta sempre tutti quando entra dalle scale, già con mille domande da fare alla sua mamma.
E un giorno succede che…
In spazio neutro entra un gatto, la settimana successiva un coniglio e all'improvviso la stanza si riempie di ricordi e di carezze. Per Giulia che da anni non vive più con sua mamma e la incontra solo in spazio neutro, sembrava impossibile incontrare di nuovo i suoi amici a quattro zampe, ma quando ha visto le gabbiette è rimasta senza parole e si è chiesta se l’avessero riconosciuta e se si fossero ricordati di lei. Giulia si è avvicinata con dolcezza e ha lasciato che l’annusassero per farsi riconoscere, è rimasta seduta per terra e si è assicurata che non mancassero acqua e cibo. Anche i gesti più scontati, quotidiani per alcuni bambini, sono straordinari e poter rivedere i propri animali domestici, dopo averlo richiesto tante volte. Per Giulia e la sua mamma è stata un momento molto emozionante.
Lucia e Leonardo hanno 3 e 5 anni a incontrano il loro padre in spazio neutro tutte le settimane, da un anno. Entrambi corrono velocemente sulle scale per arrivare ad abbracciare il papà, che li aspetta con un sorriso malinconico, si avverte la gioia mista a profonda tristezza per la condizione che li ha portati qui.
E un giorno succede che…
Il papà viene chiamato dai carabinieri mentre è al lavoro, lo portano direttamente in carcere e gli incontri si interrompono senza possibilità di dare spiegazioni a Lucia e Leonardo. Nella stanza di spazio neutro rimangono i loro disegni e i giochi che usavano tutte le settimane insieme al papà. Forse si potranno organizzare delle videochiamate, forse degli incontri in carcere o forse non si vedranno fino alla fine della pena. Sicuramente i bambini avranno molte domande da fare al papà che improvvisamente non viene più a trovarli; il decreto però parla chiaro e non abbiamo più l’opportunità di incontrarli nemmeno per provare a dargli una spiegazione che possa raccontare quello che sta accadendo. Anche per gli operatori di Luogo neutro i saluti non sono sempre facili, quando però non si ha la possibilità di accompagnare alla chiusura un percorso iniziato insieme e caratterizzato da molte emozioni, anche contrastanti, gli adulti rimangono con molte - forse troppe - domande aperte.
Valeria è una bambina di 3 anni, vive in comunità con la mamma e incontra il suo papà in spazio neutro. Valeria è bionda, i dentini bianchi e un sorriso splendente. Non vede l’ora di incontrare il suo papà, corre, gli salta in braccio e si fa coccolare per tutto l’incontro, sembrano lontani i giorni in cui li abbiamo aiutati e sostenuti nel conoscersi e nello scoprirsi. Giocano, cantano, si fanno le coccole e ridono insieme.
E un giorno succede che…
Suona il telefono di servizio, arriva una foto di Valeria e del suo papà. Non li vediamo da un po’. Valeria sembra cresciuta e sicuramente ha i capelli più lunghi, il padre è dietro di lei e sta sorridendo mentre la abbraccia. Dopo un percorso in spazio neutro la bambina vede il padre regolarmente a casa sua e hanno costruito una nuova quotidianità; i pianti e la difficoltà dell’imparare a conoscersi in una stanza di spazio neutro, con un’educatrice sempre presente e gli orari del calendario da rispettare anche quando non coincidevano con le esigenze di una bambina di due anni, sembrano ormai un lontano ricordo. Rispondiamo al messaggio, ne arriva un altro con dei ringraziamenti e scappa un sorriso pensando al pezzetto di strada percorso insieme.
Le testimonianze raccolte mettono in luce quanto il lavoro educativo e sociale nei Luoghi neutri richieda competenze tecniche, sensibilità relazionale e capacità di gestione emotiva. Ogni incontro porta con sé una complessità unica: i bambini e i ragazzi ci trasmettono vissuti intensi che chiedono ascolto, protezione e riconoscimento, mentre gli adulti coinvolti manifestano aspettative, fragilità e talvolta difficoltà nel rispettare i tempi e i bisogni dei figli.
E' fondamentale riconoscere i limiti del proprio ruolo, valorizzare la supervisione e il lavoro di équipe, mantenere un costante equilibrio tra vicinanza umana e professionalità tecnica. Questi racconti ci ricordano che ogni intervento non è mai solo un compito da svolgere, ma un processo che coinvolge la nostra capacità di essere presenti, autentici e al tempo stesso mediatori consapevoli.
Ogni storia è diversa, ogni bambino porta con sé paure, speranze e desideri unici. Noi siamo lì, testimoni silenziosi e talvolta compagni di viaggio, pronti a sostenere, accogliere, proteggere. Gli incontri in spazio neutro non sono mai semplici: custodiscono il peso delle assenze e la forza dei ricongiungimenti, il dolore dei distacchi e la gioia degli abbracci. Ma dentro queste stanze, nei parchi, tra i libri e i giochi, si costruiscono legami che parlano di fiducia, di crescita e di futuro. Ed è proprio da questi frammenti che nasce la consapevolezza che, nonostante le fatiche, vale sempre la pena esserci.
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