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STORIE DI CARTOPOETICA

15/12/2023

INTERVISTA A SILVIA GEROLDI 

Di Francesca Tassano

L’atelierista Francesca Tassano intervista Silvia Geroldi, autrice di libri e laboratori espressivi per bambini, attiva con progetti di “cartopoetica” nelle scuole - e non solo - ci farà scoprire il suo modo personalissimo di lavorare con la poesia e con i più piccoli…

Lettura consigliata a: insegnanti, educatori, genitori

 

 

Ti va di raccontare chi sei ai lettori de L’esploratorio?

Mi chiamo Silvia Geroldi e ho scritto libri di poesia per i bambini, passo la maggior parte del mio tempo a inventare libri proprio insieme a loro. Vengo accolta come libera professionista in scuole, biblioteche, librerie, festival ed eventi per famiglie. Talvolta lavoro anche con gli adulti, affinché abbiano la possibilità di portare nella loro vita una prospettiva giocosa. Sono nata negli anni Settanta, nella nebbia della provincia lombarda, ma da più di vent’anni vivo a Milano, città di cui continuo a vedere più pregi che difetti. Un pezzetto del mio cuore è in Valle d'Aosta sotto un larice, e mi aspetta… sa che ogni tanto torno!

 

 

Sei la creatrice di una parola bellissima, attraverso la quale presenti i tuoi progetti, anzi, mi viene da dire, attraverso la quale si identificano i tuoi progetti: CARTOPOETICA. Come nasce?

Ero alla ricerca di una definizione per l'insieme delle mie proposte espressive, che sono molto varie e sempre in evoluzione. Concetti come “laboratorio creativo, atelier artistico, corso di rilegatura, scrittura creativa” riecheggiavano nella mia mente ma erano tutte espressioni imprecise e non corrispondevano per niente al mio percorso professionale “non ortodosso”. Ho pensato allora a ciò che accomuna gli incontri che progetto e conduco: infatti un materiale è sempre presente ai miei workshop, ovvero la carta. Inoltre c'è un atteggiamento che mi caratterizza: l'accento sul processo più che sull'apprendimento della tecnica o sulla gradevolezza estetica del risultato finale. Ho pensato allora all'etimologia della parola poesia: fare, produrre. Un richiamo fortissimo alla creazione divina ma anche a più umili gesti artigiani. Materia e parola, azioni e pensiero, tecnica e arte sono inscindibili. L'arte nasce da una mano curiosa che si allunga sul mondo e ne fa pratica. Il mio lavoro è creare le condizioni adatte affinché ciascuno, manipolando la carta, possa farne pratica estraendone una piccola scintilla di pensiero. Che sia una poesia haiku, un piccolo libro, un'opera collettiva o un minuscolo collage di frammenti strappati poco importa, sono tutti oggetti densi di significato e scoperte maieutiche. Alla conoscenza sensoriale del mondo segue il mondo ri-creato dall'artista attraverso un linguaggio da esplorare. L'affinamento tecnico può arrivare dopo, ma prima ci deve essere la scintilla. L'arte vista così è una ri-creazione: uno spazio aperto realmente inclusivo e il più delle volte anche divertente…

 

 

Riesci a raccontare in linea generale in cosa consiste un'attività di cartopoetica con i bambini?

Sono sempre presenti, in varie proporzioni, i seguenti elementi:

  • Materiali attivatori: albi illustrati, oggetti, testi. Come numi tutelari, restano in evidenza con la possibilità di essere visionati attivamente. Sono suggestioni, innescano associazioni mentali, non sono modelli da replicare.
  • Strumenti di scrittura, tecniche grafiche: convivono senza gerarchie di valore e sono scelti e messi a disposizione in funzione del laboratorio; consentono ai partecipanti di produrre materiale senza avere prerequisiti tecnici. 
  • Supporto cartaceo: ogni laboratorio presenta una forma-spazio cartacea da costruire e/o gestire con i contenuti che emergono. La forma organizza l'esperienza nello spazio e ne mantiene una traccia nel tempo, trasformando il bambino in autore.

Dal momento che gli ingredienti in campo sono molti, il mio primo compito è quello di mostrare attraverso qualche esempio alcune possibilità espressive e tecniche tra le molte possibili. Successivamente, il mio ruolo è solo quello di creare un clima confortevole per accompagnare e incoraggiare le scoperte individuali, prestando attenzione anche alle dinamiche di gruppo.

 

Quando hai iniziato?

Ho un percorso decisamente anomalo che parte da una laurea in Lettere Moderne, prosegue con un esordio nel mondo della comunicazione e si blocca con l'esperienza infelice dei lavori d'ufficio. Parallelamente ho sempre cercato di tenere vive le mie passioni legate alla scrittura e all'immagine. Il web in questo senso è stata la mia finestra sul mondo e un terreno in cui sperimentare i linguaggi e la capacità di relazione. E proprio dalle relazioni amicali nate sul web sono arrivati i primi inviti a condurre laboratori per famiglie, ormai dieci anni fa. Mi sono buttata in modo incosciente, ma con il tempo, attraverso l'esperienza e un'autoformazione costante, ho compreso le motivazioni più profonde che mi hanno portata su questa strada.

 

Sono sempre molto colpita dal tuo lavoro nelle scuole, nelle immagini che pubblichi sui social è dirompente la tua capacità di essere essenziale, non hai bisogno di spazi particolarmente allestiti ma ti inserisci nel gruppo e nell'aula con semplicità e libertà, si vedono i bambini, le loro mani, la carta e quello che scrivono o disegnano rigorosamente con penna o pennarelli, trovo che tu riesca preservare in maniera veramente unica il loro linguaggio  in termini di parole, "errori", cancellature, trasformazioni, correzioni. Come riesci a creare le condizioni per cui i bambini si sentano liberi? C'è qualcosa che prediligi dire all'inizio di ogni incontro per favorire questo innesco poetico?

I bambini veri sono così! Si conquistano le parole una per volta e con fatica, scrivono ben poche H, si disegnano con le mani a pagnotta, strappano i fogli per frustrazione e li bucano per eccesso di entusiasmo quando usano i pennarelli! Io non ho problemi a mostrarlo, anche se la tendenza dominante è quella di condividere immagini più patinate. Mi pare di riscontrare lo stesso filtro anche nella scuola, dove si parla spesso di didattica laboratoriale e inclusività, ma ancora si fatica a giustificare a un genitore un risultato imperfetto o divergente dallo standard. Ecco allora che si progettano le attività semplificando eccessivamente o riducendole a modalità del tutto esecutive. Il risultato è che le occasioni per sviluppare un pensiero progettuale autonomo si diradano sempre di più. Quando entro in classe sono un'ospite e spesso non conosco la realtà in cui vado a inserirmi. Per questo cerco di entrare in punta di piedi e non richiedo setting particolari a meno che non ci sia già confidenza con l'insegnante. Spiego ai bambini, e ribadisco indirettamente al docente, che lo spazio temporale del laboratorio è dedicato alla sperimentazione. Sperimentare significa muoversi in ciò che non si conosce, dunque andare per tentativi e prove è una condizione fondamentale. L'errore è una naturale parte del processo, non lo si deve nascondere, è addirittura un valore. Questa piccola fondamentale premessa di metodo contribuisce a rilassare e coinvolgere meglio i bambini... e lascia perplessi alcuni docenti. Per fortuna di solito cambiano idea dopo aver visto che anche gli studenti più “riottosi” sono totalmente immersi nel lavoro e che tutti, in modo diverso, possono avere intuizioni folgoranti, con buona pace dell'esecuzione. In questi anni ho assistito a tantissime piccole epifanie, che danno senso al mio agire e rinforzano le mie convinzioni.  

 

 

 

 

In che modo la libertà che costruisci con i bambini è funzionale alla tua proposta?

Cerco di costruire una libertà fertile, tutto il contrario dell'allegro pasticcio o dell'anarchia. Paradossalmente a maggior libertà espressiva corrisponde una rigorosa fase di progettazione tutta concentrata sui limiti. Tolgo la possibilità di cancellare o sprecare, fornisco una gamma ristretta di colori e tecniche, gioco a segmentare il tempo, lavoro sulle dimensioni piccolissime e sui progetti collettivi che implicano una forte azione di regia. All'interno di queste regole e limiti, la sperimentazione della libertà individuale crea un'energia molto concentrata che dà esiti difficilmente prevedibili. La varietà delle soluzioni è proprio un segno di buon esito del laboratorio. Mi piace pensare che la libertà della cartopoetica solleciti in noi adulti domande che possono mettere in crisi. Una crisi che ci scuote dalla noia. Una pennellata di china può essere più bella e interessante di un'altra? Nell'attività di costruzione di un oggetto cartaceo è più competente il bambino o l'adulto? Cosa accade quando le parole del bambino più anonimo della classe assomigliano in modo evidente a quelle di un poeta? Un bambino libero è un bambino che ci piace? All'adulto non resta che ascoltare, guardarsi dentro e registrare, senza giudizio. Certe scoperte dei piccoli sono così immense da non poter essere incasellate nei nostri piccoli obiettivi didattici.

 

Mi sembra di capire e vedere dalle fotografie dei tuoi laboratori che libertà è anche quella del corpo. Che legame emerge tra movimento, corpo, parola, immaginario e pensiero?

Il banco è un comodo supporto ma per certi bambini è anche una gabbia che intrappola le gambe e le energie. A volte basta solo cambiare prospettiva. Durante un laboratorio sul tema del segreto, ho invitato i bambini a posizionarsi sotto il banco e a considerarlo una tana. Un grande successo!
Chiedo di lavorare seduti a terra quando le condizioni e gli spazi lo consentono e se l'attività ruota prevalentemente intorno alla scrittura o a interventi grafici semplici. Accade di solito in biblioteca o in libreria, più raramente in classe. Un corpo libero di muoversi pensa meglio e con maggiore coraggio, senza dubbio, e il pavimento riesce ad assorbire quelle energie poco controllabili che in classe diventano rumore di sedia che stride, penna che tamburella, commento provocatorio. Osservarli fuori dal solito contesto è divertente. Quando la postura trasforma il bambino in chiocciola, so che stanno nascendo pensieri interessanti da srotolare. Se un piccolo gruppo si assesta a forma di stella, con le teste vicine vicine e i corpi proni,  molto probabilmente il lavoro collettivo sta funzionando bene. E poi c'è sempre il solitario che va a cercare l'angolino più in ombra. A volte serve il buio per fare luce dentro di sé.

 

 

 

Come si è formata e come si nutre la tua poetica? Cosa ti piace? A che cosa ti ispiri?

E qui ce ne sono di cose da dire… incominciamo! In ordine sparso e senza gerarchia posso indicare come elementi ispiratori: le varie forme in cui ritrovo un'estetica wabi sabi, il mondo della grafica e dell'illustrazione, il lavoro di Katsumi Komagata, le riflessioni di Bruno Munari, letture onnivore di vario genere a cui mi accosto con aria da rabdomante senza una apparente logica. E poi tanto esercizio dello sguardo, per cercare messaggi da decifrare nella realtà quotidiana. Mi nutrono allo stesso modo la natura, con il suo ritmo circolare indifferente alle piccolezze umane, e la grande città, con i suoi movimenti sotterranei, le vite parallele, le scelte non prese. Ci sono poi elementi che hanno inciso il mio nucleo più profondo e stanno riaffiorando piano piano con sempre maggiore evidenza. Ad esempio, gli insegnanti che ho avuto. Una maestra bravissima che certamente, ricostruendo con gli occhi di oggi, era stata influenzata da Mario Lodi, Rodari, Munari. Leggeva poesie, non usava il sussidiario, ci insegnava a frequentare le biblioteche. Poi una professoressa di lettere che testava su di me i libri che metteva a disposizione nella biblioteca di classe. Era strana, non capivo mai fino in fondo il senso delle sue lezioni, ma mi piaceva perché mi incoraggiava a scrivere. Ricordo un giovanissimo professore di arte al liceo e la sua lezione su Andy Warhol a partire dalla definizione di icona: era la prima volta che intuivo un legame fra antico e moderno.
Infine, l'aria che respiravo a casa. Sono figlia di un artigiano, un restauratore che mi ha fatto crescere tra i dipinti e gli affreschi. Ho sempre vissuto le opere d'arte nel loro splendore e nella loro fragilità. Ho visto da vicino capolavori e croste, tele squarciate e vernici di finitura perfettamente stese, allestimenti sfarzosi e intonaci sollevati ricoperti da muffe. L'arte non era mai sul piedistallo, era soprattutto la fatica di papà, le sue mani fortissime e callose che facevano magie. Ricordo il fascino che esercitavano su di me i materiali per il restauro: i pennelli sottilissimi, i pigmenti in polvere, le piccole spatole, i bisturi, le tele per le foderature, gli odori della vernice e della trementina, la carta di riso... Il laboratorio mi sembrava la bottega di un alchimista e avrei voluto sperimentare in modo sfrenato. Non erano oggetti del tutto proibiti: ogni tanto potevo provarne alcuni con la massima attenzione e senza sprecare. Però mi chiedevo: è più importante creare o conservare? in una continua tensione tra l'attrazione per i linguaggi più attuali (erano gli anni Ottanta, quelli della pubblicità, della moda e della tv) e il rispetto per l'arte più tradizionale, in un certo senso a me più familiare.  Ho fatto un lungo giro nella mia vita, ma credo di essere tornata alla base diventando oggi una sintesi delle mie esperienze: sono una figura ibrida a misura di piccola creatura, un po' maestra, un po' regista, un po' artista, un po' artigiana. Ecco, nell'apparecchiare un laboratorio cerco di ricreare lo stesso incanto che ho vissuto da bambina e che ancora cerco, incoraggiando bambini e bambine ad allungare le mani senza paura. La nostra arte è minuscola e giocosa. Crescerà, se vorrà.

 

Sulla base della tua esperienza cartopoetica, cosa consigli agli insegnanti che vogliono arricchire il dialogo e il lavoro con i bambini?

Consiglio di organizzare piccole azioni che sovvertono la routine. Iniziare la giornata con la lettura di una poesia, senza che segua un'analisi o un compito. Fornire piccoli quadrati di carta ruvida e osservare quali e quanti giochi diversi possono nascere. Allestire un angolo della classe come “zona officina” per costruire libri e oggetti di carta. Creare una biblioteca di classe con una sezione di libri autoprodotti che abbiano la stessa dignità delle pubblicazioni ufficiali. Costruire occasioni didattiche in cui l'arte e la parola non siano separate... potrei andare avanti all'infinito, ma mi fermo e ti ringrazio per la pazienza di essere arrivata fino a qui.

 

 

 

 

GLI APPUNTI DELL’ESPLORATORIO

Silvia Geroldi è autrice del libro “Haiku, poesie per quattro stagioni più una” illustrato da Serena Viola e pubblicato da Lapis.

 

Photo credit: Spazio BK

 

 

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